Il Consiglio Direttivo del Circolo ARCI l’Ortaccio vuole condividere le proprie riflessioni sulle vicende che negli ultimi due anni hanno gravemente colpito la propria base sociale. Pubblichiamo qui di seguito il testo approvato nella seduta del 4 febbraio 2022.
Sono trascorsi quasi due anni dall’inizio della pandemia e riteniamo di vitale importanza condividere alcune riflessioni, cercando di fotografare la nostra realtà specifica, alla luce degli effetti che questa situazione ha portato al suo interno.
Non siamo mai entrati nel merito delle misure restrittive adottate per contrastare l’emergenza epidemiologica e abbiamo sempre rispettato tutte le indicazioni ministeriali che ci sono state indicate dal Comitato ARCI Valdera: dal marzo 2020 ci siamo adeguati ai decreti che hanno imposto il lockdown, poi le aperture graduali, infine le aperture più ampie ma con tutti i vincoli legati a garantire occasioni di socialità rispettando il distanziamento ed evitando assembramenti. Nei periodi di totale chiusura ci siamo attivati in iniziative di raccolta fondi da destinare alle famiglie del nostro Comune in difficoltà economica ed abbiamo attivato una raccolta mensile di beni di prima necessità destinati alla Caritas, iniziativa che dura ormai da un anno e mezzo visto il perdurare dello stato di emergenza.
Nell’autunno del 2020 abbiamo preso atto della sospensione delle attività sociali, culturali, nonché di quelle istituzionali, assistendo ad uno sfilacciamento progressivo della nostra base sociale, a cui è venuta meno la possibilità di programmare, progettare e anche semplicemente stare insieme. Abbiamo condiviso la sofferenza dello stare lontani e insieme il desiderio di riprendere a vivere il nostro Circolo come abbiamo sempre fatto.
Abbiamo deciso di rimanere aperti pur sapendo che le spese erano e sarebbero state molte e che le entrate giornaliere non avrebbero reso sostenibile l’apertura. Sapevamo che economicamente sarebbe stato disastroso, ma abbiamo preferito mettere al centro l’importanza di avere uno spazio aperto dove potersi intravedere anche solo da lontano, anche solo di passaggio. Lo abbiamo deciso come consiglio direttivo di allora proprio per mantenere un presidio di socialità per continuare a dare ai soci una percezione di “normalità”, e per non lasciare a casa gli otto lavoratori dipendenti con la sola CIG Covid.
A fine aprile dello scorso anno abbiamo con gioia ripreso in mano la nostra socialità, ovviamente misurandoci con le indicazioni dei vari decreti e pensando sempre in un’ottica di rispetto delle norme, al fine di tutelare la salute collettiva della nostra comunità e del nostro territorio. Come una persona che dopo un incidente riprende a camminare e a fare piccoli passi, ci siamo rimessi in moto, consapevoli comunque dei grandi cambiamenti che la nostra socialità avesse subito: eventi o situazioni, anche complessi, che fino al 2019 gestivamo in maniera fluida e anche gioiosa, seppur molto più contenuti rispetto al passato, ci sono sembrati in alcuni casi particolarmente faticosi, di difficile gestione, come se fossimo “disabituati”, come se fosse la prima volta. Abbiamo anche condiviso la mancanza di slancio di progettazione collettiva di spazi, percorsi, iniziative, come se lo sguardo sul futuro del nostro Circolo fosse precluso.
La progressiva introduzione della certificazione verde si è inserita in questo contesto già di per sé alterato, prima con la sua estensione ad eventi all’aperto in estate e al chiuso in autunno e poi nella misura in cui è stata imposta ai lavoratori e ai soci attivi del circolo, rappresentando di fatto un filtro in grado di limitare la libera partecipazione delle persone alla vita lavorativa, nonché sociale, culturale, aggregativa del Circolo.
Con l’introduzione della certificazione verde rafforzata e del Decreto legge del 30/12/2021 n°229, stiamo assistendo ad un processo di progressiva ed inevitabile delegittimazione degli organi istituzionali, nonché al depauperamento della nostra base sociale, la cui disgregazione non rappresenta più un rischio ma una realtà tangibile.
Tutto questo ci induce a chiedere quanto questi stessi provvedimenti possano rispondere ai criteri di proporzionalità e ragionevolezza con cui si auspica siano costruite le norme. Analogamente a quanto espresso in questi giorni da Amnesty international Italia secondo cui “le misure di carattere emergenziale devono rispondere ai principi di necessità, temporaneità e proporzionalità”, da cui deriva la conclusione per cui la stessa associazione “continua a sollecitare il governo ad ancorare i propri interventi ai principi di legalità, legittimità, necessità, proporzionalità e non discriminazione”.
Siamo consapevoli che il nostro Circolo rappresenti un caso di sperimentazione sociale che ha visto il suo fondamento, funzionamento e la sua riuscita nell’apertura, nell’accoglienza di una molteplicità di sguardi e visioni multiple, diverse a livello culturale, sociale, generazionale, geografico e anche politico. In un contesto così variegato ed eterogeneo, abbiamo costruito iniziative in difesa delle libertà personali, di genere, politiche, di movimento, di pensiero e opinione, che ora facciamo fatica a immaginare perché implicano il riconoscimento della validità di un criterio di esclusione che storicamente non ci appartiene.
Abbiamo vissuto direttamente le potenzialità di uno spazio che ha rappresentato un grande cambiamento nella nostra comunità, attraendo persone e famiglie all’interno del nostro comune. Abbiamo visto progressivamente crescere e rafforzarsi una base sociale forte e attiva che ora non esiste più, se non in parte, priva oggi di quella spinta immaginativa che ha dimostrato di avere in passato.
Negli ultimi anni, grazie all’impegno dei soci, l’Ortaccio è cresciuto ed è diventato sempre di più un luogo di cultura e socialità aperto a tutti e tutte. Oggi stiamo assistendo ad una regressione della cultura della socialità e ad un nuovo impoverimento della frequentazione, che ci spaventano non poco. L’unica attività parzialmente inclusiva è rimasta fino al 9 gennaio la somministrazione nei confronti dei soci. Ma sappiamo in realtà quanto la somministrazione dovrebbe rappresentare solo una parte dell’attività di promozione sociale, culturale e politica che un Circolo dovrebbe svolgere normalmente.
Dal 10 gennaio alcuni nostri amici, compagni, conoscenti o anche semplici passanti, non prendono più parte in alcun modo alla vita sociale del Circolo L’Ortaccio. Ci chiediamo come si possa accettare in maniera così indifferente e silenziosa che un amico, un compagno, un conoscente o anche un semplice passante non possa più accedere al luogo che da sempre ha fatto della socialità la sua ragion d’essere. Abbiamo provato a rispondere a questa domanda, operando preliminarmente una distinzione tra diritto e morale. Se dal punto di vista del diritto gli spazi di interpretazione e di manovra che restano, sono ovviamente angusti, altre possibilità si aprono dal lato della morale. Reputiamo infatti moralmente inaccettabile vedere impedito a persone in carne ed ossa, con nomi e cognomi e spesso con un passato di battaglie condivise, quello spazio di socialità. Lo stesso spazio che fino a pochi giorni prima poteva ancora offrire l’occasione a chiunque di dar vita a quell’elemento che più di altri
caratterizza l’essere umano e che perspicacemente Aristotele definisce nella formula uomo come “animale sociale”.
Vogliamo pertanto lanciare un grido di allarme ed esprimere l’esigenza di un confronto con l’ARCI, così che, sempre nel rispetto della legislazione di prevenzione della diffusione della pandemia COVID19, lo statuto ARCI possa trovare ancora piena realizzazione, riprendendo a promuovere la partecipazione, l’inclusione e la coesione sociale, la prevenzione di ogni forma di disagio, emarginazione e discriminazione.